Insegnare fisica/Didattica tradizionale/L'elettrone

Da testwiki.
Versione del 6 dic 2024 alle 17:17 di imported>Ttr.fibbi
(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Template:Insegnare fisica

Introduzione alla ricerca di Thomson

Prima che Thomson si accingesse alla sua ricerca sui raggi catodici, sulla naturi di questi ultimi erano sorti due punti di vista divergenti: gli scienziati britannici appoggiavano il modello corpuscolare proposta da Crookes, mentre gli europei del continente, guidati da Philip Lenard, preferivano un modello ondulatorio o radiativo. Le opinioni opposte di Leonard e Crookes esemplificavano la distinzione netta e mutuamente esclusiva tra fenomeni corpuscolari e ondulatori emersa nel pensiero scientifico del XIX secolo. Vale la pena di condurre gli studenti a riflettere su questa assoluta dicotomia, e esaminarla in preparazione alla successiva introduzione delle opinioni moderne sulla dualità onda-particella. Essa propone nella giusta prospettiva un episodio significativo della storia intellettuale.

Un altro fatto sperimentale che, a quel tempo, ostacolava la strada all'ipotesi corpuscolare era l'impossibilita di ottenere una deflessione elettrostatica del fascio catodico facendolo passare tra le armature di un condensatore montato nel tubo. Era ben noto che un campo magnetico avrebbe dovuto causare una deflessione di un fascio di particelle negative, ma i tentativi di ottenere questa deflessione elettrostatica fornirono dei risultati nulli (questo fu uno dei primi ostacoli che Thomson passò a risolvere).[1]

L'esperimento di Thomson

Dapprima Thomson ripeté l’esperimento dell’elettrodo concavo da elettrometro di Perrin (che aveva inserito un elettrodo concavo da elettrometro all'estremità del tubo opposta al catodo e aveva raccolto della carica negativa) ma, invece di situare l’elettrodo all’estremità del tubo opposta al catodo, egli lo chiuse in un lato del tubo dove non riceveva direttamente il fascio catodico non deflesso. Quando il tubo venne messo in funzione, l’elettrometro non segnò alcuna carica, ma quando il fascio fu deflesso magneticamente in modo da entrare nell’elettrodo, l’elettrometro raccolse della carica negativa. Dimostrò in questo modo che l'elettrificazione negativa segue lo stesso cammino dei raggi, e che questa è connessa in maniera indissolubile con i raggi catodici

Anche se la logica ci può sembrare ovvia, si osserva che diversi studenti hanno difficoltà a capire perché Thomson si prese il disturbo di eseguire questo esperimento anche se conosceva i risultati di Perrin, e hanno anche difficoltà a esprimerne il significato. Pochi di essi hanno avuto, nello studio precedente, la possibilità di pensare a questa concatenazione di idee; la natura dei tradizionali esercizi da fine capitolo non è questa.

Successivamente Thomson passò a occuparsi della deflessione, accorgendosi che fino a quel momento non era stata ottenuta a causa della [[ w: Conduttività elettrica|conduttività]] conferita dai raggi catodici al gas rarefatto. Misurando questa conduttività si accorse che diminuiva rapidamente al crescere del vuoto e, grazie ad alcune tecniche di vuoto recentemente sviluppate, riuscì a verificare le sue idee ottenendo un vuoto abbastanza alto da sopprimere la conduttività e la deflessione dei raggi conseguentemente.

Di seguito, le parole dello stesso Thomson:

«Ad alto vuoto, i raggi erano deflessi quando le due lastre di alluminio erano connesse a una batteria di piccoli accumulatori: i raggi venivano abbassati quando l'elettrodo superiore era collegato al polo negativo della batteria, l’inferiore al positivo, ed erano innalzati [quando le connessioni venivano invertite]. La deflessione era proporzionale alla differenza di potenziale tra le piastre, e io potei rilevare la deflessione quando la differenza di potenziale era appena di due volt. La deflessione avveniva solo quando il vuoto era buono, ma il fatto che l'assenza di deflessione è dovuta alla conduttività del mezzo è mostrato da ciò che accade quando il vuoto è appena giunto al punto in cui comincia la deflessione. In queste condizioni esiste una deflessione dei raggi quando le piastre vengono collegate per la prima volta ai morsetti della batteria, ma se questo collegamento è mantenuto, la macchia fluorescente ritorna gradualmente indietro alla posizione che occupa in assenza di deflessione. Questo è proprio ciò che accadrebbe se lo spazio fosse un conduttore, sebbene di pessimo tipo, poiché in quel caso gli ioni positivi e negativi che si trovano tra le piastre si diffonderebbero lentamente finché la piastra positiva non sia ricoperta di ioni negativi, e quella negativa di ioni positivi; così l'intensità elettrica tra le piastre si annullerebbe e i raggi catodici risulterebbero liberi dalla forza elettrostatica [...] Dal momento che i raggi catodici portano una carica di elettricità negativa, vengono deflessi da una forza elettrostatica come se fossero elettrificati negativamente, e una forza magnetica agisce su di essi esattamente nel modo in cui tale forza agirebbe su un corpo elettrificato negativamente che si muovesse lungo la traiettoria di questi raggi, non riesco a vedere come evitare la conclusione secondo cui essi sono cariche di elettricità trasportate da particelle di materia.»

Ora che tecnologie come quelle usate all'epoca di Thomson non sono altro che materia del passato, molti studenti (anche dottorati) non riescono a dare risposte convincenti su problemi riguardanti il concetto di carica spaziale o sul comportamento degli ioni in un gas rarefatto. Suggeriamo, quindi, di non eliminare una riflessione fisica qualitativa di questo tipo dalla fisica introduttiva. Un contesto ricco, come la ricerca che è stata descritta, è un'opportunità inestimabile per dare spessore e significato a riflessione e visualizzazione di questo tipo.

In seguito, Thomson passò a condurre le misure che vengono descritte in maniera così affrettata nella maggioranza dei libri di testo: determinare la deflessione in presenza di un solo campo, eliminare la velocità incognita delle particelle riportando il fascio alla sua posizione iniziale mediante l’applicazione di un campo elettrico e di un campo magnetico incrociati, e determinare il rapporto tra carica e massa per le ipotetiche particelle. Molta fisica viene esclusa dalla maggioranza delle esposizioni dei libri di testo. Per esempio, non si chiede agli studenti di esaminare l’importanza del fatto che il fascio rimane coerente (la macchia sullo schermo non si allarga) quando viene deflesso, sia elettricamente che magneticamente, dalla sua posizione iniziale; essi non si accorgono che esiste un’informazione fisica contenuta in ciò che non accade, esattamente come ne esiste in ciò che accade, ed è necessario guidarli a riflettere su questi problemi. Naturalmente, la coerenza porta a sostenere l’ipotesi che le entità nel fascio abbiano proprietà e velocità identiche tra loro, e che l'equazione per la traiettoria di una particella si applichi a tutte le altre.

Esiste un aspetto che Thomson non fa notare dal momento che per un fisico è banale, ma per uno studente non lo è. Come mai il fascio non viene deflesso anche dalla forza gravitazionale? La maggior parte degli studenti risponde a questa domanda affermando che la massa degli elettroni è troppo piccola e quindi lo sarà anche l'accelerazione di gravità, dimenticando che quest'ultima è uguale per tutti i corpi e le particelle. Questa circostanza rappresenta quindi un espediente utile per riprendere i vecchi concetti già affrontati sulla forza di gravità.[1]

Le deduzioni di Thomson

Thomson si dedicò poi a calcolare il rapporto e/m tra la carica e la massa dell'elettrone, ottenendo risultati approssimativi. Quello a cui era interessato, però, era solo l'ordine di grandezza e se questo variasse o meno su un ampio ambito di valori, come era noto accadere con ioni diversi nell'elettrolisi e nei gas conduttori. Trovò sempre il solito risultato (tra 0,67 e 0,9 X1011 C/Kg) e ipotizzò che, quando sarebbe stato possibile separare le due proprietà, sarebbe stato molto probabile trovare che le particelle avevano tutte la stessa carica e la stessa massa.

Vi era inoltre il risultato dell'omogeneità del fascio, dimostrato dal fatto che la macchia non si allargava e dovuto al fatto che le particelle attraversavano la stessa differenza di potenziale con velocità tutte uguali (come indicato dalla determinazione con i campi incrociati). Tale risultato implicava che le particelle si dovevano originare nelle immediate vicinanze del catodo (oggi sappiamo per "emissione di campo").

Per quanto possa sembrare banale a qualche insegnante, molti studenti non hanno acquistato, nel corso dei loro studi, la comprensione del fatto che le grandezze numeriche, quanto vengono considerate da sole, non contengono quasi nessuna informazione, mentre le informazioni e le deduzioni derivano principalmente dal confronto tra valori numerici. Il presente argomento ne è un esempio chiaro e prezioso. Thomson, conoscendo il libero cammino medio delle particelle e i dati di Lenard (che mostravano la penetrazione di un raggio catodico pari a un centimetro o due), ipotizzò che m dovesse essere molto piccolo.

Gli studenti dovrebbero riflettere sul perché non si era inclini ad attribuire la differenza tra i valori di e/m per i raggi catodici e per l’elettrolisi a una differenza di e piuttosto che a una differenza di m o anche, forse, a differenze in entrambe le proprietà. Questo è un tipo di ragionamento che gli studenti hanno avuto di rado l’occasione di affrontare. Ogni cosa è stata presentata loro sotto forma di risultati finali ben rifiniti e apparentemente inevitabili. Quando essi scoprono il ruolo avuto dalla fede nella semplicità e nell’ordine della natura, attraverso ragionamenti plausibili e le ipotesi basati su tale fede, comprendono la natura del pensiero scientifico in modo più realistico di chi non ha vissuto questa esperienza intellettuale. Ciò è uno degli elementi della cultura scientifica.[1]

Compiti da assegnare sull'esperimento di Thomson

Se, prima di iniziare l'esperimento di Thomson, si chiede agli studenti di scrivere una nota di una pagina su quello che ritengono essere il significato della parola "elettrone" e su come sia stato possibile sapere qualcosa di questi oggetti, i documenti prodotti formano di per sé uno studio istruttivo. Tutti hanno udito il termine fin dai primi giorni della loro storia scolastica, ma esso non ha mai acquistato un significato simile a quello che ha nella scienza. Esiste solo un gergo impreciso e ricordato a metà. Per questo è utile, basandosi sull'esperienza di Thomson introdotta nei paragrafi precedenti, assegnare compiti a casa agli studenti invitandoli a porsi domande del tipo "Come facciamo a sapere...? Perché crediamo a...? Quali sono le prove per...?". All'inizio il compito verrà interpreto dagli studenti come un carico indesiderato, ma la stragrande maggioranza di essi, una volta arrivata a fine lavoro, scopre di aver compiuto dei progressi e comincia a reputarla come un'esperienza di apprendimento molto valida e utile.[1]

L'unità della carica elettrica

L’esperimento di Millikan è trattato in maniera adeguata in molti libri di testo, e non vi è alcuna necessità di inserire qui una descrizione dettagliata. Comunque, l’elemento principale che manca in molte esposizioni è l'opportunità fornita agli studenti di vedere alcuni valori reali che mostrino come tutta l’analisi sperimentale dei dati abbia una struttura discreta. È significativo identificare anche il massimo comun divisore tra le quantità di carica e di variazione di carica osservate.

Un aspetto verbale merita cautela e attenzione: in molti testi e lezioni è divenuto abituale annunciare che «Millikan misurò la carica su un elettrone». Il termine «elettrone» ha avuto una storia lunga e complessa, e c'è poco da guadagnare nell’esplorare tale storia in un corso introduttivo. È vero che in origine questo termine veniva usato in riferimento all’unità di carica elettrica, qualunque ne fosse il portatore, ma nella terminologia moderna (che si cristallizzò nei primi anni del 1900) la parola «elettrone» indica la particella presente nel fascio catodico e nella struttura degli atomi. Questa è la maniera in cui gli studenti capiscono il termine. Così, data la terminologia attuale, dire che «Millikan misurò la carica su un elettrone» diviene profondamente fuorviante; gli studenti hanno l’impressione che Millikan avesse direttamente a che fare con gli elettroni.

Ciò che Millikan fece fu di misurare il valore della carica elementare come la si doveva osservare, inglobata in goccioline d'olio, in un gas ionizzato. Sebbene alcuni ioni possono essere stati elettroni, la maggioranza probabilmente non lo era. Questo è un bellissimo esempio di come il pensiero scientifico reale funziona e progredisce: rappresenta quindi un altro aspetto dell’opera di approfondimento della cultura scientifica. Tale opportunità viene persa, però, nell’espressione imprecisa secondo cui «Millikan misurò la carica su un elettrone».[1]

Note

Bibliografia